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venerdì 10 marzo 2017

Compatimento -



Ci consideriamo esseri di pace. Ognuno di noi ama la pace, nessuno , o  quasi, ama la guerra. Da tempo immemore cerchiamo sempre di creare un luogo di pace per noi e per le nostre famiglie. Scriviamo libri, parliamo di pace, cerchiamo di evitare attriti, costruiamo argomenti di pace in ogni occasione.
Eppure il mondo è sempre in guerra. Ora in un luogo, ora in un altro, siamo sempre in guerra.
Il rispetto per la vita è un testo scritto da molti e rispettato da pochi.
Ci rendiamo conto che la pace è una necessità, ma siamo così condizionati da non riuscire a vedere nessuna via d’uscita. Ci rivolgiamo ai potenti per evitare le guerre senza pensare che sono proprio quelli che definiamo tali a creare le guerre. Il condizionamento a cui siamo sottoposti da migliaia di anni non ci permette di intravvedere soluzioni. Speriamo soltanto che nelle nostre strade, nelle nostre città non arrivi mai la guerra. Ci innalziamo e ci pensiamo civili, perché noi non facciamo stragi, perché noi non facciamo guerre, ma all’occorrenza, saremo in guerra, perché qualcuno ci attaccherà e ci troveremo a difenderci senza pietà verso i nostri nemici.
E  allora, mi chiedo, è possibile una rivoluzione, un cambiamento, senza la guerra?
Se noi siamo sotto l’influsso di condizionamenti, anche i nostri nemici lo sono. Entrambi abbiamo accumulato montagne di credenze per le quali siamo noi i migliori. Non ci sono vie di mezzo. Gli altri sono selvaggi, assassini, prepotenti che vogliono dominarci. Per questo siamo costretti a difenderci. Ma non ci rendiamo conto che le cose sono sempre state impostate in questo modo. La mente, la mente dei potenti, di quelli che possono decidere se fare o non fare una guerra, è così condizionata che non hanno alcuna visione di qualcosa di diverso. Come possiamo amare la pace se mettiamo a governarci persone così condizionate?
Il trucco è sempre lo stesso, da sempre: la ricompensa.
Ogni guerra ha come ricompensa qualcosa che adesso non abbiamo, qualcosa che ci appare importante, come ad esempio, la libertà.
La Libertà è sempre legata a qualcosa. Libertà di pensiero, libertà di lavorare, libertà di avere una famiglia, libertà di .... e così via.
Questa libertà e un condizionamento imposto. Imposto da un premio, da un riconoscimento, da una immensa gratificazione fatta di orgoglio. E allora, non c’è soluzione, perché conquistare qualcosa con questi obbiettivi, significa che prima o poi, ci sarà qualcun altro che dovrà farci guerra, perché i suoi desideri saranno diversi. La diversità di razza, di ideologia, di religione, è sempre lo sfondo di ogni guerra.
Una delle ultime osservazioni che mi capita di percepire è quella del compatimento. Compatiamo i nostri avversari. Un senso misto di pietà e di compassione che ci fa vedere le loro azioni come qualcosa di impossibile da cambiare. Questa visione è volutamente distribuita nelle nostre menti, in modo che la nostra mente non trovi modo di esprimersi pienamente. Ancora una volta, il senso di religione ci impone di non essere violenti, di stare tranquilli, infondo sono da compatire, non sanno quello che fanno.
Così continuiamo ad accettare che a governare siano sempre gli stessi poteri.
Tutto questo accade da millenni e continuerà ancora per millenni, con guerre, stragi, terrore.
Finché non prendiamo davvero la decisione di cambiare, cambiare noi stessi, cambiare le nostre credenze, o meglio, eliminarle, non cambierà niente.  Continueremo ad accettare ogni guerra.
Quando in ognuno di noi comincerà a risvegliarsi la coscienza che la vita terrena è solo un istante dell’infinito, finché non smetteremo di avere paura di ogni cosa, non ci sarà cambiamento.

Alcuni dicono che una guerra servirebbe per farci aprire gli occhi. E’ una delle più cieche affermazioni che si possano fare, perché lo si dice dimenticandosi delle guerre già fatte. La sofferenza delle guerre passate, non ha insegnato niente a nessuno. Quindi, le guerre, il dolore, la sofferenza non fanno cessare le guerre. La sofferenza ricerca se stessa, e si rimane in essa senza trovare mai una via d’uscita. Non è il dolore che insegna, ma la serenità. 
L’accettazione di essere esseri coscienti. E di prenderne atto.

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