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venerdì 14 aprile 2017

La via non deve dipendere -



Si viaggia in dimensioni di pensiero che costruiscono immagini. Stiamo apprendendo continuamente nuovi concetti e nuove forme pensiero per riuscire a penetrare nell'intimo dell'anima, della coscienza. Coloro che si dedicano a osservare senza osservatore, vanno in dimensioni che non si lasciano spiegare ne descrivere.
Ora, se questo è quanto accade, quando ci troviamo in queste dimensioni, possiamo soltanto viverle, non abbiamo alcuna possibilità di trasmetterle a noi stessi o ad altri in quanto non sono descrivibili.
Il più delle volte si ricorre al sistema della negazione per descriverne almeno qualche piccola parte, non è questo, non è quello, non è né questo né quello. Ma anche con questo metodo, non riusciamo a farci capire.
Lo stato interiore di silenzio, lo stato di vastità e di immaterialità, lo si definisce in molti modi, ma nessuno di questi modi riesce a descriverlo fino a trasmetterlo ad altri.  Ci troviamo in una condizione dove solo quando ci entri, riesci a comprenderlo, ma soltanto a livello di coscienza propria, senza possibilità di dargli una descrizione attraverso il pensiero e la parola.
Il tentativo di descriverlo per trasmetterlo, fa parte di quella innata tentazione di fare del bene dando il meglio di sé. E' una costante di chi si dedica alla ricerca interiore: dare.
Andando a guardare i grandi della storia della spiritualità, troviamo tantissimi personaggi, veri o falsi che siano, che cercano di trasmettere questo stato, e tutti, sembra che leghino questa esperienza al dare agli altri quanto hanno acquisito.
Ma è davvero cosi? Davvero i grandi, come il Buddha, il Cristo, il Bruno, il Krisna, e tanti altri hanno inserito in questa trasmissione la necessità di dare?
Forse si , forse no.
Se davvero hanno realizzato questo stato, sanno già in partenza che non possono darlo agli altri.
Però hanno cercato di dare indicazioni che potessero avvicinare il cercatore a questa esperienza. E questo è quanto hanno fatto di buono, quanto hanno potuto fare di buono.
Il problema si presenta quando, noi, tentando di fare quanto ci hanno detto, ci aggreghiamo in un gruppo, in una religione.
A quel punto, secondo me, siamo fregati.
Un gruppo, una religione, ha necessità di organizzazione, di strutture, di regole.
Inseriti in questo contesto, gli insegnamenti diventano materia di studio, non più di ricerca.
Ci saranno maestri, conduttori, organizzatori, persone importanti che indicheranno costantemente cosa fare e cosa non fare.
Entrati in questa struttura, possiamo studiare i testi, conoscere i punti di vista dei maestri, ma nessuno di loro ci potrà dare quanto stiamo cercando. Ci possono dare soltanto informazioni. Fino a che il ricevere informazioni diventa un'abitudine, un bisogno, una necessità.
A questo punto, possiamo stare certi che stiamo chiudendo tutte le porte all'esperienza reale.
Diventiamo discepoli-dipendenti.
La via non deve dipendere.

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